Il buffet


A volte capita, che mi richiedano l'uso del locale per feste o celebrazioni private.
In genere sono restio, perchè sono geloso e pigro verso ciò che amo. Anzi, l'idea di avere intorno troppa gente che non sceglie di venire ma si obbliga a passare, mi da un po' fastidio. Molti in queste situazioni sentono il diritto di accasamento naturale che proprio non mi riguarda.
Tant'è, però, ogni tanto cedo e affitto il locale, con la clausola tassativa della mia presenza al solito posto, dietro il banco. E osservo.
Mi piace osservare. Osservare è l'arte più antica che nobilita e giustifica tutte le altre arti. Saper osservare è guardare il mondo da un'altra posizione e collocare se stessi in spazi e luoghi altrimenti impossibili.
Durante questi pochi avvenimenti, i più si muovono con studiata meccanicità, qualcuno completamente a proprio agio altri come in attesa di una qualche scarica elettrica che li possa mutare in altro. Molti sono infastiditi, qualcuno cela, sotto sguardi impauriti, espressioni forzose di approvazione; ma la sensazione principale è quella di un rito che si deve compiere con cadenze e meccanicità programmate.
L'assalto al buffet, per esempio e il buffet stesso sono il rito per eccellenza, come lo stringere mani e tentare approcci al più noto del gruppo, il più noto che necessità dell'attenzione per poi potersene allontanare come una divinità imperscrutabile. E poi ammiccamenti di ogni genere e abiti mai troppo a caso e parole complici dietro sguardi obliqui che nascondono quel sentimento di reattività immediata a qualsiasi attacco o opportunità.
Sono chiacchere e sorrisi, sono gesti misurati, sono persone che si muovono in tondo, e poi in orrizzontale e poi in su e poi in giù. Sono vite che si sfiorano che si lasciano messaggi di continuità che andranno perduti appena fuori svoltato l'angolo.
A volte mi capita di sorridere e altre di pensare. A volte vorrei essere invisibile a volte in cima alle teste di tutti.
In tutti i casi, a una certa ora, chiudo e vado a dormire.

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