Vincenti e non.

Idealismo. Ideali. Ideologia.
Tutte variabili della stessa necessità, quella di avere un riferimento con cui confortarci, una movenza dalla quale prendere il proprio ritmo.
E' anche schierarsi.
Non restare a guardare passivamente e ancor meno soddisfare il più forte del momento in cambio di un benessere personale al netto dei pensieri.
Ma anche restare passivi è a suo modo un'ideologia, un modo di essere.
Allora che si fa?
Esiste il concetto di "giusto" assoluto? Non credo.
Ho ascoltato una canzone di una giovane cantautrice dire con enfasi " ...e sia chiaro che non sarò mai una perdente" e sono rimasto un po' frastornato.
Che significa?
Essere perdenti spaventa? E' per forza un dogma essere vincenti? E poi perchè?
Per dominare il prossimo, per guardarsi allo specchio fingendosi i migliori, per avere successo economico/sociale?
Sono cresciuto con ideali che hanno avuto partita persa ma non li rinnego.
Se ci dev'essere un vincente allora mi sta bene stare dalla parte del perdente, se perdente significa aver provato a giocarsela. A volte nulla si può contro avversari più forti ma onesti o avversari a te pari ma disonesti che usano qualunque mezzo per vincere.
Bene.
I secondi non si siederanno mai a questi tavoli.
 Ai primi offro da bere.
A quelli come me, un riparo.

Commenti

  1. Quando scoprii di essere incinta del mio bel topolino mi venne in mente subito "un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo, dalla fantasia...". Ed è quello che sto cercando di insegnarli da sempre: giocare la vita prima ancora di pensare a vincere. Ma non è facile, alla fine i vincenti hanno maggiori difese dalla vita, i giocatori sono più vulnerabili...

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  2. Continua così. Vincenti lo siamo un po' tutti, a turno. L'importante è riuscire a dare lo stesso valore a vittoria e sconfitta senza doversi sentire troppo vulnerabili o irresistibili.

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