Le valigie

Non riesco a rimanere indifferente nel vedere qualcuno con una valigia.
Mi succede sempre, come se quella vista avesse a che fare con me, come se dentro quella valigia ci fossi io, ne fossi l'impugnatura in pelle o le ruote del trolley.
Valigie che quando sono posate a terra e colui che le conduce le tiene accostate alle gambe, mi fanno sentire la fatica di quel peso e provo a immaginarne la storia.
Penso che una valigia necessiti di tempo e di gesti accurati, credo che quei gesti non siano sempre involontari o ripetuti meccanicamente e sono certo che ogni indumento al suo interno, debba per forza avere la forza di un racconto viscerale. I calzini che vengono sistemati in una tasca laterale, sono stati pensati per quel viaggio e così i pantaloni accuratamente riposti perché non lascino pieghe a cui non si saprà trovare rimedio una volta fatti uscire da lì, perché nel luogo di destinazione non si avranno il proprio ferro da stiro rimasto a casa o le grucce adatte per appenderli.
In quelle valigie ci sono disegnati i volti dei loro conduttori.
Quando sono grandi e ingombranti anche i conduttori sono grandi e ingombranti, affannati nello sforzo di trascinare tutta quella storia; perché dentro le valigie viaggia la storia del conduttore.
Ci sono valigie che non ritorneranno più nella casa da cui sono partite e indumenti che troveranno altre collocazioni. Ce ne sono altre che con fare civettuolo ti raccontano, nel loro piccolo ingombro, di passaggi scanzonati da un posto all'altro dove non servono la storia e le scorte per il tempo che verrà, ma soltanto necessità per un momento rapido e fugace che consenta di non staccarsi mai dalla realtà ma solo di allontanarcisi per un poco.
Ci sono conduttori con gli occhi spenti seduti sopra di esse, con la testa tra le mani e la loro storia sotto il loro culo. Una storia che li ha scacciati da una parte all'altra, senza un progetto, una speranza immediata: valigie gonfie di lacrime.
I conduttori di valigie prendono la forma della loro valigia, rotolano con essa come un carro gitano per le vie del mondo,
Non riesco a non guardarlo, seduto al tavolo due metri da me, con la valigia di plastica dura appoggiata alla sedia, dal lato verso il muro, per non ostacolare il passaggio delle persone. E più lo guardo e più provo a immaginare cosa i suoi occhi riescono a vedere in quel momento, cosa lo abbia portato così a un passo da me, con la camicia sudata sotto una giacca striminzita che sembra non volerne sapere di stargli addosso. Forse avrebbe preferito trovare posto dentro la valigia, dentro a quel mondo nel quale crediamo di essere salvati e protetti ma che, invece, è solo un mondo che si sposta da una parte a un'altra, si svuota e si riappropria di spazi in nuovi cassetti e armadi, in differenti profumi, sempre pronto a farsi indossare dal conduttore che di quel mondo, molto spesso, conosce il solo il volume interno della valigia che lo contiene.

Commenti

Post più popolari