Il parafulmine

Ho appeso degli oggetti alle travi del soffitto.
E' un vecchio locale e le travi sono vecchie, indurite dal tempo e scalfite dall'incuria di una manutenzione minima o assente.
Quando le guardo mi viene sempre voglia di toccarle, sfiorarle, lasciarci la mano sopra per un po' per vedere se succede qualcosa.
Mi fanno lo stesso effetto i muri dei palazzi del 1200 che ci sono qui intorno; come alcuni  lastricati rimasti originali per le vie.
Penso che ci saranno anche dopo di me e che hanno visto e sentito altri come me per molto tempo.
Penso ridano.
Ridano dei nostri passi sempre identici, della sfilza di parole e pensieri che sembrano sempre originali e unici, come grandi sorprese, come ci fosse sempre qualcosa da scoprire.
Stanno lì e ridono, li riammoderniamo con colori nuovi e intonaci e nuovi infissi e ascensori e marmi nuovi, e stanno lì intanto che passiamo.
Anche le travi sul soffitto sono così.
Da lassù ci osservano.
Per questo ho appeso questi oggetti: una stadera di mia nonna, pentole e misurini per il vino in stagno, credo, che si usavano un tempo per dosare il vino; e una chiave inglese appartenuta al mio bisnonno, un trapano a mano di mio padre, una tenaglia, un lucchetto.
Ne metterò fino a toccare terra.
E' come se mettere storia su storia, la mia storia su quella pubblica, possa arginare le risate che quelle travi, come quei muri, si fanno al sentire le mie chiacchiere e i miei pensieri che credo sempre così originali: possano fungere da massa a terra.
Ci sono ricordi non più consultabili a voce che a un bel momento hanno il sopravvento e vanno lasciati scorrere.
Come il fulmine nel cavo a terra di un parafulmine.
E' il momento che ti accorgi che quello davanti, quello cui i più giovani danno la baia, ora sei tu.
Se dal soffitto a terra metto ricordi tangibili, forse sarò un po' più in compagnia,
 
 



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