Un destino annotato

Vedo tanta felicità in molti volti che transitano di fronte all'osteria e in qualcuno che di tanto in tanto decide di entrare per una sosta.
La felicità può essere contagiosa, a volte.
La felicità può essere letale, a volte.
Un po' come fare dei figli, innamorarsi, camminare sul ciglio di una montagna, nuotare al largo, sorridere in una foto con i parenti.
Bisogna avere una certa predisposizione naturale e una leggerezza invidiabile o più semplicemente non porsi troppe domande.
Credo si nasca con determinati talenti che prima o poi necessitano di emergere, al di là delle regole fissate dalla società.
Credo sia indispensabile riconoscere le proprie caratteristiche e non temerle.
Da dietro questo bancone ho spesso la sensazione di essere spettatore delle vite altrui al punto di non saperne alcuna mia.
Da qui, tante vite, e le loro storie, transitano per un po' per poi sparire. Ogni tanto a qualcuna di queste vite ti ci affezioni e le vorresti egoisticamente sempre lì con te, per il tuo bisogno di osservazione.
Ma ciascuno ha un destino, il suo.
E ogni destino si determina come può e sa.
Non sono certo che tutti siamo predisposti ai medesimi destini formali.
Credo che ci siano persone adatte a far figli, altre adatte a non farle, altre ancora a essere spudoratamente felici e altre no.
E ciascuno trae il meglio da sé, porta qualcosa all'altro.
Per quanto mi riguarda, porto l'ascolto, forse. 
Una certa malcelata attenzione e una forte inquietudine per i destini altrui.
Il mio destino è osservare e annotare, una specie di amanuensis che fissa il suo tempo e le sue contraddizioni, correndo il rischio di vivere felicità inconsuete.
La gente mi riguarda, il mio silenzio mi riguarda, i loro gesti mi riguardano.
E annoto.
E vado oltre. 
E riempio un bicchiere che un altro berrà, in cambio di un prezzo.

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