L'attesa della neve

Niente ti salva se non vuoi essere salvato, nulla ti serve se non lo vuoi usare.
Dicono che nevicherà. Fa abbastanza freddo, infatti.
Non c'è molta gente oggi in Osteria.
Ho tutto pronto, in attesa; la macchina del caffè accesa, le bottiglie di vino stappate e ritappate con un tappo di sughero più piccolo. Ho indosso il mio grembiule nero a salopette con la pubblicità di una marca di formaggi, un pile blu a collo alto un po' sdrucito ma che tiene caldo, dei jeans stropicciati e le scarpe da inverno ai piedi con le calze da alta montagna, neppure dovessi partire per una traversata alpina.
Ho le mani fredde.
Però esco spesso fuori dal locale e guardo in su con quella speranza di vedere il primo fiocco cadere.
Potrei anche stare dentro dove fa un po' più caldo, pensare di riordinare o pulire ancora una volta il bancone, gli scaffali con le patatine fritte con il nome di un santo, passare la scopa sul pavimento.
Invece, esco fuori, come se fosse estate e guardo su, in attesa di quel primo fiocco.
Dal palazzo di fronte, dietro un vetro di una finestra chiusa, c'è una signora, più anziana di me, che guarda anch'essa fuori.
Ogni tanto i nostri sguardi s'incrociano e poi fuggono veloci.
Credo sia in corso una sfida a chi incrocia prima il fiocco.
Indossa un abito che la fa sembrare più grassa, la vedo solo dalla vita in su.
Immagino stia indossando anche lei qualcosa che le da la sensazione di caldo e di protettivo, e provo a immaginare i suoi pensieri.
Che forse sono simili ai miei.
Pensieri immobili su un paesaggio incerto, in attesa di qualcosa che rompa l'apatia.
Dicono nevicherà, ma al momento c'è solo un gran grigio chiaro che sembra solo prometterlo.
Ho le mani fredde.
Qualcuno mi domanda un caffè.
Rientro.
Spero non arrivi adesso il primo fiocco: avrebbe vinto lei.

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